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152 CAPITOLO QUARTO

«Ho ordinato la carrozza per le nove» diss’ella, sorridendo. «Non Le basta? E vede che fiducia nella Sua risposta di poco fa! Che fiducia in Lei, per dir meglio!»

Massimo le prese e baciò le mani. Ella, ridente, lasciò fare. Poi si alzò. Aspettava una scolaretta. Massimo poteva ritornare, per saper qualchecosa, verso le due. Troppo tardi? Allora poteva venire a colazione. S’incaricava lei di avvertire, alla Montanina, che lo aveva invitato. Intanto egli poteva restare, andare, fare come gli piacesse. Se voleva leggere, c’era la piccola biblioteca del villino. Se non voleva restare, aveva quattr’ore per una passeggiata.

«Faccia una bella passeggiata lunga, di quelle che rinfrescano l’anima.»

Detto così colla sua dolcezza lievemente canzonatoria, donna Fedele stese la mano al suo giovine amico. Questi la pregò di ascoltarlo ancora un momento. Credeva ella che la voce di una sua relazione a Milano fosse giunta all’orecchio della signorina? Donna Fedele non sapeva che le fosse giunta. Ma chi l’aveva sparsa? Donna Fedele tacque, con uno sforzo virtuoso, dei preti di Velo, accennò alla madre di Lelia senza spiegarsi di più, nè Massimo osò domandare di più. Solo, prima di congedarsi, desiderò che donna Fedele sapesse dell’antipatia di Lelia per il suo Maestro. Ella non gli lasciò finire il discorso. Che importava mai ciò? Ignara di modernismo e di antimodernismo, contenta di credere e vivere secondo la tradizione antica della sua pia famiglia, donna Fedele vedeva Massimo praticare, Lelia praticare, non intendeva un dissidio religioso fra l’uno e l’altra. Per verità, certe parole di Lelia le avevano data l’idea di una religiosità inserta in lei meccanicamente e nutrita di abitudine assai più che di Vangelo. Appunto per questo le sarebbe piaciuto ch’ella spo-