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142 CAPITOLO QUARTO

«No no, viene subito!» rispose don Aurelio. Lasciata la finestra, si sentì abbracciare le ginocchia da Massimo, cadutogli ai piedi.

«Va va» diss’egli. «Dio ti benedica!» Non si sarebbero divisi senza uno strappo violento. Massimo scattò in piedi, precipitò fuori dell’uscio e giù per le scale, sparì di corsa nella notte. Don Aurelio si ritirò nella sua camera da letto e, inginocchiato davanti al Crocifisso, pregò con affannoso impeto, quasi lottando contro un intimo nemico, per i due preti di Velo, per tutti quei Superiori che lo volevano avvilito, ramingo, affamato:

«Padre Padre, credono di servir Te, credono di servir Te, perdona, perdona!»

Il signor Marcello, veramente inquieto, andava immaginando possibili cause del ritardo di Massimo che, alle dieci, non era ancora di ritorno, pur sapendo come alla Montanina le dieci fossero l’ora del coprifuoco. S’irritò un poco anche contro Lelia che non ammetteva fosse avvenuto niente.

«È sempre nelle nuvole» diss’ella. «Sarà andato al villino delle Rose, credendo di venir qua.»

Pareva che la simpatia di donna Fedele per Massimo le desse noia. Il signor Marcello se n’era accorto e l’accenno al villino delle Rose gli dispiacque. Le domandò se facesse colpa a Massimo di andar volentieri al villino. Ella protestò vivacemente. Tutt’altro! Non disse di più ma faceva invece colpa a donna Fedele di proteggere tanto Massimo, benchè non avrebbe saputo spiegarne il perchè. Ebbe paura di nuove domande e si ritirò.

Salì nella sua camera col proposito di non rinunciare, benchè fosse tardi, alla passeggiata notturna nel Parco, di aspettarvi anzi l’aurora della luna. La luna doveva