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FORBICI | 141 |
dove aveva desiderato di riposare anche la sua povera moglie: ecco il migliore dei monumenti. Ora dunque era deciso. Si farebbe così.
«Ci sarà anche Lei, quel giorno, a Oria?» domandò Massimo.
Don Aurelio non poteva prometterlo. Non sapeva da qual paese avrebbe dovuto venirvi. A ogni modo non ci sarebbe venuto che se si fosse dato al trasporto un carattere lontano da qualsiasi manifestazione religiosa sconveniente per un sacerdote. Ciò detto, si alzò, riaccese il lume.
«È tardi» diss’egli. «Tu devi ritornare alla Montanina.» Aperse un cassetto della scrivania, ne tolse due lettere, pregò Massimo di farle pervenire l’indomani mattina, dopo averle lette, al loro indirizzo. Una era per l’arciprete, l’altra per il Capo di contrada. Il lume moribondo diede un guizzo e si spense.
«Oh!» esclamò don Aurelio. «E io che pensavo adesso di scrivere due righe!»
Massimo accese un fiammifero:
«Faccia» diss’egli.
Don Aurelio prese un foglietto, vi scrisse alcune parole mentre Massimo accendeva un fiammifero dopo l’altro, gli porse il foglietto dicendo: «Per la signorina Lelia, quando ti avrà detto di sì».
Massimo lesse, tremando per l’emozione:
«Permetta che un povero prete benedica il Suo amore nel nome dell’Amore infinito, al quale attinga vita perpetua.
«Don Aurelio.»
In quel momento fu bussato forte all’uscio di strada. Don Aurelio si strappò da Massimo che gli aveva gittato le braccia intorno alla persona, corse alla finestra. Era Giovanni, della Montanina. Il signor Marcello lo aveva mandato a vedere se fosse accaduto qualche cosa al signor Alberti.