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140 CAPITOLO QUARTO

«Sì, va bene, va bene» fece don Aurelio «ma poi!»

Non gli riusciva proprio di credere che quella ragazza ci tenesse tanto a questioni di religione da guastarsi la vita per esse. Sentì subito che questo scetticismo, colorito apparentemente di mediocre stima, era dispiaciuto a Massimo. Cercò nell’ombra le mani dell’amico, le strinse, non parlò più di Lelia.

«Dobbiamo appunto parlare di Benedetto» diss’egli. «Oggi mi ha scritto Elia Viterbo. Avrebbe scritto a te ma nessuno, a Roma, sa dove tu sia. Suppongono che ne sia informato io. È corsa persino la voce, a Roma, che tu fossi rifugiato a Praglia, guarda.»

Don Aurelio non potè a meno di commentare con un sobbalzo di riso:

«Grazie, che Praglia!» E continuò. «M’incarica di farti sapere che, per le povere ossa di Benedetto, i tuoi amici hanno deliberato di accettare la tua proposta e ti pregano di farti vivo. Perchè, a quanto pare, confidano in te, che sei vicino a Oria, per aiutare a porla in atto.»

Alcuni discepoli di Benedetto avevano divisato, mesi prima, di erigergli un modesto ricordo in Campo Verano, aprendo una sottoscrizione. Ad altri discepoli la proposta era parsa inopportuna per lo scarso risultato che si ripromettevano dalla sottoscrizione, perchè era tale da spiacere allo spirito del Maestro. N’era venuto un aspro dissidio. Massimo, avverso alla proposta, aveva cercato una via di pace, giovandosi di un certo discorso tenutogli da Benedetto una volta che avevano visitato insieme Campo Verano. Gli aveva detto: «Finirò qui e mi piacerebbe invece esser portato nel Camposanto di Oria; ma è una vanità.» Propose di rinunciare al ricordo e di soddisfare quel desiderio toccante. Un picciol posto, lontano dalle contese del mondo, nel campo dove dormivano i genitori di Piero Maironi,