Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/148

136 CAPITOLO QUARTO

don Aurelio non poteva tenere che il Breviario, una piccola Bibbia tascabile e l’Imitazione. Nel prendere e mettere da parte i cari libri le mani gli tremavano, povero prete; ma non gli sfuggì una parola di lamento. Solo una volta, porgendo a Massimo una bella edizione delle Confessioni di Sant’Agostino, che gli ricordava molte ore di lettura e di meditazione religiosa nelle ombre segrete del Parco di Velo, presso il mormorar pio di acque correnti, gli mancò la forza di dire «questo al signor Marcello». Massimo, vistogli la faccia, indovinò, non prese il libro, prese e strinse la mano, dolorando. «Al signor Marcello, al signor Marcello!» esclamò subito don Aurelio con uno sforzo, come se la smarrita memoria, e non l’emozione, gli avesse trattenuta la voce. Non ebbe più un solo momento di debolezza, anzi rimproverò Massimo che, a mezzo il lavoro, non potendone più, si era rifiutato, un momento, di continuare, voleva tentare ancora di smuoverlo dal suo proposito. Appena ebbero finito, la Lúzia entrò col pretesto di vedere se le imposte fossero chiuse. Don Aurelio le ordinò di andare a letto.

«Grazie, signor» disse, uscendo, la vecchia, che appunto desiderava quest’ordine.

Don Aurelio stette pensoso. Gli conveniva rimunerare in qualche modo la Lúzia, oltre al salario mensile, già messo da parte. Donna Fedele gli aveva regalato una bella sveglia, troppo elegante per lui.

«Bella, vero?» diss’egli a Massimo, facendogliela vedere. «Fammi il piacere di venderla per conto della Lúzia.»

Ah, Massimo non aveva pensato che il povero prete non aveva forse tanto in tasca da vivere fuori per due giorni! Offerse le cinquanta lire che teneva nel portafogli. Don Aurelio ne possedeva tre e ne accettò, con semplicità francescana, dodici per il viaggio a Vicenza