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134 | CAPITOLO QUARTO |
del capriccio musicale dolcissimo, la visione della punta di dolomia perduta nel vaporoso sereno, una punta di passione, lanciata su, fuori del mondo, cinta di abissi e di cielo.
La Lúzia, udendo venire il padrone, aveva preparato un lume nel salottino del piano terreno.
Don Aurelio prese il lume, salì con Massimo la scaletta di legno.
«Prima discorriamo di te» diss’egli, posato ch’ebbe il lume sulla scrivania dello studio. Indicò a Massimo una sedia in faccia alla sua, con certa solennità che sgomentò il giovine. E riprese:
«Devi rispondere a una mia domanda. Pensa bene prima di rispondere».
Scrutò in silenzio gli occhi attoniti, avidi, che lo interrogavano.
«La domanda è questa» diss’egli. «Sai che si sia parlato a Milano di una tua relazione con una signora maritata? Pensa.»
Massimo sorrise, rasserenato, della ingenuità di quel sant’uomo, vissuto fuori del mondo.
«Ma certo» rispose, «e non con una, ma con due, forse con tre. Lei non sa cosa è Milano. Ma Lei vi ha creduto? Ha dubitato? Non sa tutto, di me?»
Don Aurelio si affrettò a dichiarare che non aveva creduto. Pareva tuttavia perplesso. Allora Massimo intuì qualchecosa di funesto, esclamò atterrito:
«Ah capisco! È la signorina Lelia che lo crede!»
No, don Aurelio non sapeva che si fosse parlato di ciò alla Montanina. Se n’era parlato al villino. Neppure donna Fedele credeva; ma era necessario che Massimo la rassicurasse. A Massimo pareva opportuno che questo passo lo facesse don Aurelio.
«Io, caro?»
Don Aurelio pensò un poco e soggiunse sotto voce, gravemente: