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FORBICI 129

abituale di lei a suo riguardo fosse ancora disceso di un grado. Ora ne fu convinto. Anche Massimo gli parve rannuvolato. Raccontò la sua visita al villino, descrisse le condizioni della salute di donna Fedele, tutt’altro che buone a giudicarne dall’aspetto e da qualche cenno fugace di lei. Lelia, riconquistata dal fascino e dalle dimostrazioni affettuose della Vayla, si fece attentissima. E don Aurelio parlava veramente in modo da imporre attenzione.

«Quella è una donna» diss’egli «che, se, non si cura come va e subito, si rovina. Voi siete amici suoi, avete il dovere di ottenerlo.»

Il signor Marcello, colpito dal tono di quelle parole più ancora che dalle parole stesse, domandò che si potesse fare, quale fosse veramente il male di cui la Vayla soffriva. Don Aurelio rispose che non lo sapeva ma che lo sospettava per la stessa renitenza della sofferente a prendere un consulto. E un consulto era necessario.

Seguì, nella sala, un silenzio dolente, attonito. Don Aurelio si alzò, dicendo che doveva rincasare. Massimo si alzò pure, per accompagnarlo fino a Sant’Ubaldo. Il curato si avvicinò a Lelia, le disse gravemente:

«Signorina, donna Fedele Le vuole molto bene. La raccomando particolarmente a Lei. Quella è una vita necessaria a molte persone.»

Il signor Marcello si era pure levato in piedi.

«Dunque, don Aurelio» diss’egli, «Lei ha questa riunione domani? Potrà portarvi qualche buona notizia?»

«Senta» rispose don Aurelio col suo bell’accento romano, colla sua voce calda: «io non so se il rimanere sia buono. Intanto Iddio mi dice che buono è l’obbedire.»

Seguì una lotta fra i due perchè il signor Marcello voleva baciar la mano che l’altro ritirò con terrore. Si