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124 | CAPITOLO TERZO |
«Vada!» diss’ella allo sbigottito cappellano, con un’alterezza, con una energia, con un fuoco, che le ridonarono quasi lo splendore della sua gioventù. «Continui a servire Iddio calunniando la gente, faccia con Alberti come ha fatto col curato di Lago e trionfi pure! Io ritorno alla mia casa, che Loro hanno la bontà di chiamare un covo, molto più contenta di me e del mio covo che non lo sarà Lei di sè stesso e del suo palazzo quando diventerà cardinale!» E gli voltò le spalle.
«Siora!» le intuonò, tragico, il vetturino recandosi la sinistra al petto e alzando la destra colla frusta impugnata:
«Se La comanda, sibene che l’è un prete, Gesummaria, io ci tiro el colo!»
Chi sa dove si fosse assopito il piccolo demone comico di donna Fedele. Ella non ebbe neppure un sorriso. Fece voltare il calessino e vi salì non curando l’ubbriachezza del vetturale. Non avrebbe potuto fare altri due passi. Tutto il suo vigore si era sciolto in un tremito che la scoteva da capo a piedi. Il buon vento di Val d’Astico, fresco e puro, che faceva stormire gli alberi, ondulare le ombre sulla strada bianca, la ristorò alquanto. Paga del suo sfogo, sentì, pensando al cappellano, una specie di pietà. Ma ne tolse presto il pensiero, lo pose alla Montanina, al capo grigio del vecchio venerato amico all’ultimo, malinconico desiderio di lui, la unione di Lelia e di Alberti, agli enigmi dei loro intimi sentimenti e della sorte.