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TRAME 121


Udendola annunciare dalla serva dell’arciprete, aveva pensato che fosse venuta a perorare la causa di don Aurelio. Adesso sapeva ch’era invece venuta per la faccenda di Alberti, che la serva dell’arciprete aveva origliato e chiacchierato, che quel benedetto uomo ne aveva fatta una delle sue, lo aveva compromesso. Appena la vide, ne indovinò il proposito, si chiuse tutto, leggendo il breviario, in un’armatura ideale di piastre e di punte.

La placida signora non accennando a levar l’assedio, s’inginocchiò da capo; e dopo avere immaginato, colla testa fra le mani, il momento dell’assalto e predisposta la difesa, passò in sagrestia. Immediatamente donna Fedele si alzò e lo seguì, com’egli aveva previsto. Non potendo evitare un colloquio, il cappellano lo preferiva in sagrestia, anzichè all’aperto o in canonica.

Donna Fedele gli domandò gelida, velata gli occhi d’indifferenza sprezzante, se potesse parlargli. Egli rispose, egualmente gelido, con un cenno silenzioso di assenso.

«Preferirei non qui» diss’ella. Egli esitò un poco e poi le propose di aspettarlo in chiesa. Sarebbero usciti insieme. Si trattenne in sagrestia dieci minuti almeno, fece davanti all’altar maggiore una genuflessione che ne durò altri due.

«Desidero da Lei una informazione sicura» disse donna Fedele uscendo con lui dalla chiesa, tutta fremente d’impazienza.

«Se posso» rispose don Emanuele, mansueto e duro. «Se posso.»

La signora frenò a stento uno scatto.

«S’intende, se può. Ma può certo. E, potendo, deve!»

«Se posso» ripetè il cappellano, più mansueto e più duro. «Se posso. Dica.»

Donna Fedele, rossa in viso, gli osservò che si trattava di faccende delicate. Parlarne in piazza non era conveniente. Allora il prete cavò l’orologio.