letta dell’acqua santa e si pentì prima di toccar l’acqua, ritirò la mano, sentendosi troppo cattiva cristiana. Quell’uomo inginocchiato, col viso fra le mani, le metteva ira. Lui, fare il santo, lui, quel cuore duro, quel cuore malvagio, lui, il coperto nemico, il denunciatore di don Aurelio, si poteva giurarlo, lui che ora tramava perfidie contro Alberti perchè lo credeva un eretico! Anche questo avrebbe giurato donna Fedele benchè non ne sapesse niente, benchè fosse venuta per sapere appunto se l’accusa contro l’Alberti avesse un fondamento reale o no. Entrò in una panca vicina alla porta laterale, nell’ombra e, dopo un momento di esitazione, s’inginocchiò. Era credente e pia, per tradizione antica della sua casa. Aveva una fede semplice, non si occupava nè voleva occuparsi delle questioni religiose che dividono i cattolici, diceva volontieri di preferire la famosa foi de charbonnier, come l’aveva preferita suo padre; ma detestava tutto che le paresse doppiezza, ipocrisia, perfidia; e oltre al piccolo demone comico aveva nel cervello un piccolo demone strano, uno spirito bizzarro che le suggerì di pregare contro le preghiere di quel prete curvo davanti all’altar maggiore. Inginocchiandosi, pensò: «Ascoltate me, Signore, e non lui,» poi, appena posate le braccia sulla panca: «forse non prega niente.» Lo credeva un fariseo e non si avvide, per questo, di attuare a rovescio la parabola del Vangelo, meritando, come il fariseo di quella, la divina condanna. Il suo sospetto era poi anche ingiusto. Don Emanuele pregava con tutte le forze dell’anima sua. Pregava secondo la sua natura, la sua educazione, come non avrebbe potuto altrimenti. In casa sua nessuno aveva osato chiedere direttamente alcunchè al nonno terribile. Gli facevano parlare da un prete, o da un fattore, o da una vecchia cameriera. Così don Emanuele pregava, più che il Nonno infinito, i servi di Lui. Adesso pregava San Luigi Gon-