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108 | CAPITOLO TERZO |
una vita edificante, ch’è in relazione con ottimi sacerdoti. È divisa dal marito, sì; ma forse ci sono delle ragioni plausibili, forse ci sono dei malintesi. Dopo Dio, dopo la Chiesa, il suo pensiero è la figlia. Relazioni dirette con essa non ne può avere perchè il signor Trento, uomo di cuor duro, religioso sì e no, non permette. In questo momento trepida per la figlia. Me lo ha scritto l’altro giorno un sacerdote, un degno sacerdote che l’avvicina.»
«Gavìo la lettera?» interruppe l’arciprete. «Lezìla.»
Don Emanuele guardò il Superiore con una faccia contrita.
«Per verità» diss’egli, «è una lettera riservatissima...»
«Gnente gnente!» esclamò don Tita. «Basta basta!»
Il cappellano proseguì:
«Questo sacerdote scrive che la signora da Camin è venuta a sapere come si trovi presentemente, da parecchi giorni, in casa Trento un giovine milanese molto conosciuto a Milano, tristemente conosciuto».
«Un infelice!» mormorò l’arciprete. «Un disgraziato!»
Lo disse coll’accento pacifico di chi constata una disgrazia irrimediabile, una infelicità definitiva.
La siora Bettina prese timidamente la parola per dire che credeva di aver veduto il giovine in chiesa, la domenica precedente. Don Emanuele sospirò e tacque.
«Sì sì!» disse don Tita. «Lo gavarì visto. Va in ciesa, va in ciesa. Ma el xe pezo de quei che no ghe va. Una testa, fiola! Amigo de quell’altra bela testa del curato de Lago. El xe uno de questi che vorìa cambiar tuto nela Religion.»
La siora Bettina sibilò succhiando aria come se si fosse scottata la lingua. Don Emanuele sospirò da capo.
«Pur troppo!» diss’egli. «E la madre vive nell’an-