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TRAME | 105 |
voce, sommesso, grave, significava: «si tratta di ben altro.»
«Può essere che sappia, può essere che sappia» osservò don Emanuele, mellifluo, all’arciprete. «Si tratta, signora, di quella giovine, di quella signorina che sta col signor Trento, che doveva sposare suo figlio.»
L’arciprete guardò sua cognata per vedere che viso facesse. Lo faceva molto brutto.
«Géstene, non la conosco» diss’ella.
Se sperò aver trovato un rifugio nella indicata ignoranza, la sua illusione durò poco.
«Andè là!» disse l’arciprete.
«Sarebbe meglio che la conoscesse» osservò don Emanuele, pensoso. «Non la conosce proprio niente? Proprio niente?»
«Di vista. Di vista sì» rispose la Fantuzzo, rosea. Ma don Emanuele, che la sapeva lunga, tacque come chi non è persuaso e, per discrezione, non insiste con parole, insiste col silenzio di un’attesa sicura.
«Le avrò forse parlato una volta» soggiunse la siora Bettina, scarlatta.
«Oh brava!» fece l’arciprete.
«Ma non le parlo più, non le parlo più, non le parlo più!»
Pareva inorridita, la povera Bettina. Continuava a protestare: «eh no no! eh no no!». L’arciprete esclamò infastidito: «Ma parchè? Ma parcossa?» Ella rispose che quella persona le faceva troppa soggezione, troppa soggezione. Il perchè vero era diverso. Lelia le si era, un giorno, trovata vicina in chiesa. La povera siora Bettina aveva un copricapo eteroclìto che mise di buon umore il gruppo delle villeggianti, otto o dieci signorine, una più passera dell’altra. Lelia se ne avvide, prese subito la povera Fantuzzo sotto la sua protezione. Le offerse la propria sedia, le raccattò un intero volo di