Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/109


TRAME 97

loro dopo la morte. Aveva una sufficiente cultura teologica e non era interamente digiuno di cultura letteraria. Era stato professore di latino e greco in Seminario, benchè di greco non sapesse. Non leggeva che giornali, riviste e libri cattolici. Per conto di lui non entravano in canonica che stampe italiane, mentre per conto di don Emanuele vi entravano le Stimmen aus Maria Laach e altre pubblicazioni straniere, sopra tutto tedesche. Questo non era pane per i denti dell’eccellente don Tita, era pane che gli metteva un’ammirazione mal celata per i denti del cappellano. Ammirazione e non invidia; perchè poi don Tita non era un ambizioso, si accontentava della sua sorte, desiderava forse una parrocchia di città per uscire dalle montagne, che gli pesavano sullo stomaco, e per ritrovarsi con vecchi colleghi e amici, non guardava più in là. Pensava invece che don Emanuele, nipote di un Cardinale, figlio di un cameriere segreto di Sua Santità, fratello di una guardia nobile fosse destinato a salire chi sa quanto. Se l’umile cappellano di Riese era diventato Pontefice, perchè non lo diventerebbe un cappellano favorito dalla fortuna come don Emanuele? Il suo contegno verso costui non era facilmente definibile. Ne aveva soggezione, in fondo, e la dissimulava con giocose familiarità. Ne subiva l’ascendente, non si sentiva, con lui, interamente a suo agio. Lo reputava una cima perchè sapeva il tedesco. Era tuttavia convinto di predicar meglio di lui. Si compiaceva, nel suo amor proprio, di averlo per cappellano; e tante volte gli veniva in mente, mal suo grado, che, partito don Emanuele, in canonica si respirerebbe meglio.

Don Tita avrebbe respirato meglio, forse perchè don Emanuele non parlava il dialetto, aveva modi aristocratici figurava la negazione vivente della giovialità. Erano ambedue, in sostanza, dello stesso minerale; ma l’arci-