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90 CAPITOLO SECONDO

«Diceva che Lei era contrario appunto per questo motivo, ma ch’egli era sicuro della ragazza e che, dopo il matrimonio, avrebbe saputo tener lontani i suoi genitori.»

«Li conosceva proprio bene, i genitori? Domando perchè, parlando con me, pareva che non li conoscesse bene.»

«Sì sì, li conosceva bene. Mi diceva che il padre era corrotto, copertamente, quanto la madre che ha una storia pubblica.»

Il signor Marcello stette ancora in ascolto e quindi parlò di Lelia ch’era una smentita vivente alle teorie sull’eredità. Ne lodò la purezza adamantina, il cuore ardente che la spingeva non di rado a follìe di carità e la faceva idolatrare dalle persone di servizio, malgrado qualche scatto brusco. Ricordò il fatto di un bambino, orfano di madre, che un giorno ella si era portato a casa per sottrarlo alle brutalità del padre ubbriacone, disposta a prenderne cura ella stessa, benchè non sapesse, povera ragazza, da qual parte cominciare. Ammise certe singolarità più apparenti che reali del suo carattere, la scusò del linguaggio talvolta, per una fanciulla, crudo, ricordando le sue passate esperienze tristi della vita, così precoci.

Ora, pensando all’avvenire, pensando a quei genitori, il suo cruccio di lasciare Lelia senz’appoggi era grande. Sperava solo in Dio. Non gli chiedeva più niente di terreno se non questo: un buon appoggio per lei che gli era più cara di una figliuola.

«Lei vivrà lungamente» disse Massimo.

«Caro Alberti, Le pare una cosa da desiderarmi? E poi...»

Il vecchio s’interruppe.

«Scusi» fece Massimo, «E poi...?»

«E poi, caro, so qualche cosa che non dico.»