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68 | parte prima — il sistema leibniziano |
vimento, e per la quale avviene che un altro corpo non possa subentrare al suo posto senza che esso ceda; d'altra parte, esso non cede se non ritardando alquanto il movimento del corpo che lo spinge, e così tende a perseverare nel proprio stato anteriore, in modo non soltanto da non scostarsene spontaneamente, ma anche da resistere a ciò che tende a mutarlo. Così vi sono due resistenze o masse: la prima, quella che chiamano antitypia o impenetrabilità; la seconda, quella che Keplero chiama inerzia naturale dei corpi e che Cartesio in qualche luogo del suo epistolario riconobbe dal fatto che per essa i corpi non accolgono un nuovo movimento se non per forza, e perciò resistono al corpo che li preme e ne indeboliscono la forza. Il che non avverrebbe, se nel corpo, oltre all'estensione, non vi fosse τό δυναμιxόν, cioè il principio delle leggi del movimento, per il quale avviene che la quantità delle forze non può essere aumentata, e che un corpo non può essere spinto da un altro corpo se non diminuendo la forza di quello.
La forza attiva, che si suole anche dire senz'altro forza, non è da concepirsi come la semplice potenza volgare della scuola, cioè come ima recettività di azione, ma implica un conatus, cioè mia tendenza all'azione, cosicché, se non vi sia impedimento, ne derivi l'azione. in ciò propriamente consiste l'entelechia, mal compresa dalla scuola: una tale potenza infatti comprende l'atto, né permane una semplice facoltà, benché non sempre proceda direttamente all'azione cui tende; a volte infatti vi si oppone un impedimento. In secondo luogo, la forza attiva è duplice, primitiva e derivativa, cioè sostanziale o accidentale. La forza attiva primitiva, che vien chiamata da Aristotele la prima entelechia (έντελέχειx ή πρώτη) e nel linguaggio comune forma della sostanza, è il secondo principio naturale che, insieme con la materia o forza passiva, costituisce la sostanza corporea; la quale è in sé un unità,