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iii. — forza e movimento 67

trario. Questo sforzo si mostra da ogni parte ai nostri sensi; e, a mio parere, può essere dimostrato per via razionale ovunque nella materia, anche là dove non è evidente ai sensi. Che se questa forza non si deve attribuire a Dio come un miracolo, bisogna certamente che sia immessa da lui nei corpi, in modo da costituirne l'intima natura; poiché l'agire è il carattere essenziale delle sostanze, e l'estensione, lungi dal determinare la sostanza stessa, non indica altro che la continuazione o diffusione di una sostanza già data, la quale tenda e si opponga, cioè resista. Né importa che ciascuna azione corporea derivi dal movimento, e il movimento non derivi se non da mi altro movimento esistente già da prima in quel corpo o impressogli dal di fuori. Infatti il movimento (così come il tempo) non esiste mai, a considerare la cosa rigorosamente; giacché non esiste mai tutto, non avendo parti coesistenti. E nulla vi è in esso di reale, se non quel quid istantaneo che consiste nella forza tendente al mutamento. A ciò dunque si riduce tutto ciò che è nella natura corporea al di fuori dell'oggetto della geometria, cioè al di fuori dell'estensione.

(Specimen Dynamicum, M. VI, 235).


Il corpo, la materia, contiene dunque in se una vis activa che supera, la materialità ed ha carattere spirituale.

Τό δυναμιΧόν, la potenza, è duplice nel corpo: passiva e attiva. La forza passiva costituisce propriamente la materia o massa, quella attiva la entelechia1 o forma. La forza passiva è la resistenza stessa per la quale il corpo resiste non soltanto alla penetrazione, ma anche al mo-

  1. Entelechia, da έντελές (compiuto) e έχειν (avere) è il termine usato da Aristotele per indicare la forma pienamente realizzata. Leibniz lo riprende per definire l'aspetto attivo della sostanza e della morale. Questo termine è anche usato spesso da lui come sinonimo di monade. Cfr. Monadologia, § § 18, 48.