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26 parte prima — il sistema leibniziano

fa, non è l'assoluta perfezione, e che egli avrebbe potuto agire assai meglio. Poiché mi semina che le conseguenze di questa concezione siano assolutamente contrarie alla gloria di Dio. Uti minus malum habet rationem boni, ita minus bonum habet rationem mali. E si chiama agire imperfettamente, agire con minor perfezione di quello che si sarebbe potuto. E trovare a ridire sull'opera di un architetto il mostrare che egli avrebbe potuto farla meglio....

Questi moderni credono anche di provvedere così alla libertà di Dio; come se non fosse la più alta libertà quella di agire in perfezione seguendo la ragione sovrana. Poiché credere che Dio agisca in qualche cosa senza aver alcuna ragione della sua volontà, oltre che apparire impossibile, è opinione poco conforme alla sua gloria. Per esempio, supponiamo che Dio scelga fra A e B e che egli prenda A senza avere alcuna ragione di preferirlo a B: io dico che questa azione di Dio, per lo meno, non sarebbe affatto lodevole; poiché ogni lode deve essere fondata su qualche ragione che non si trovi giá ex hypothesi. Ritengo invece che Dio non faccia nulla per cui non meriti di essere glorificato.

(Discours de métaphysique, 1686, §§. II, III).


Il criterio della, bontà e del «migliore», non è dunque conseguenza della volontà divina: è piuttosto la volontà divina che si ispira a questo criterio, il quale ha una validità oggettiva a sé stante, altrettanto come le verità di ragione. L'azione di Dio è da un lato circoscritta dai limiti della possibilità dati dal principio di non contradizione, nell'ambito del quale essa si devo svolgere: dall'altro lato è determinata da questo finalismo, da questo principio del «migliore», della bontà, che costituisce l'oggetto necessario della sua scelta. D'ambo i lati dunque, essa si trova determinata: e questa determinazione costituisce la legge stessa della sua perfezione.

Necessità nelle verità di ragione, dunque, poiché i principi di esse sono inderogabili, tali che non potrebbero venir concepiti diversi da quel che sono; necessità anche nelle verità di fatto, in quanto la loro ragion sufficiente non può non essere il principio della suprema perfezione e bontà. Ma queste due