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24 parte prima — il sistema leibniziano

Cosí, quando alcunché ci dispiace nella serie delle cose, ciò deriva da un difetto di comprensione. Infatti non è possibile che ciascuno spirito comprenda tutto distintamente; e a chi osservi solamente alcune parti piuttosto che altre, l'armonia non può apparire nel suo complesso.

Consegue da ciò che nell'universo è osservata anche la giustizia, non essendo la giustizia altro che un ordine o perfezione riguardo agli spiriti.

(Frammento, G. VII, 289-90).


Necessitá e libertá. - Anche questo criterio di perfezione, di bontà, di armonia è, analogamente alle verità di ragione, assoluto, oggettivo, a sé stante, indipendente dalla volontà di Dio, imposto dalla necessità delle cose. Dio sceglie il migliore: ma non avrebbe potuto scegliere altrimenti. Siamo qui in presenza della celebre questione della conciliazione fra necessità e libertà; la quale riguarda solo da lato il nostro argomento, e rientra piuttosto nel problema della Teodicea. Anche a questo proposito Leibniz si oppone a Cartesio.

Contro coloro che sostengono che non vi è bontà nelle opere di Dio o che le regole della bontà e della bellezza sono arbitrarie.

Io sono molto lontano dall'opinione di coloro che sostengono che non vi siano affatto regole di bontà e di perfezione nella natura delle cose, o nelle idee che Dio ne ha; e che le opere di Dio non siano buone se non por la ragione formale che Dio le ha fatte. Poiché, se ciò fosse, Dio, sapendo che egli ne è l'autore, non avrebbe avuto ragione di guardarle in seguito e trovarle buone, come testimonia la Sacra Scrittura1, la quale non pare si sia servita di questo linguaggio umano, se non per mostrarci che la loro eccellenza si riconosce a guardarle in se stesse, anche se non si fanno riflessioni su questa semplice denominazione esteriore, che le riattacca alla loro causa. E ciò è

  1. Leibniz allude qui al racconto del Cap. I della Genesi, in cui a ciascun atto della creazione segue la frase: «E Dio vide che ciò era buono».