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i. — verità di ragione e di fatto 21

la sua azione nel metterò in opera la realtà del mondo. In che cosa consiste questo principio? Che cos'è il «migliore», questa causa finale delle verità di fatto? Un criterio di massima realizzazione, di massima perfezione, di massima felicità, bontà, etc.: insomma di armonia, che tende a che nei limiti della possibilità venga realizzato il massimo di esistenza possibile.

Discende dalla perfezione suprema di Dio che, producendo l'universo, egli abbia scelto il miglior piano possibile, nel quale vi è la massima varietà, col massimo ordine; il terreno, il luogo, il tempo meglio organati; il massimo effetto prodotto coi mezzi più semplici; il massimo di potenza, il massimo di conoscenza, il massimo di felicità e di bontà nelle creature, ammissibile nell'universo. Infatti, dato che tutti i possibili pretendono all'esistenza nell'intelletto di Dio in proporzione delle loro perfezioni, il risultato di tutte queste pretensioni deve essere il mondo attuale, il più perfetto che sia possibile. Altrimenti non sarebbe possibile rendere ragione del perché le cose siano andate così piuttosto che in altro modo.

(Pricipes de la Nature et de la Grace, 1713-14, G. VI, 603).


È un mio principio, che tutto ciò che può esistere ed è conciliabile con le altre cose, esista. Poiché la ratio existendi a preferenza di tutti gli altri possibili, non deve essere limitata da altra ragione, se non da quella che non tutte le cose sono conciliabili fra di loro. L'unica ragione determinante è dunque ut existant potiora, quae plurimum involvant realitatis.

(Frammento del 1676, C. 530).


Vi è una ragione in natura per cui esiste qualche cosa piuttosto che nulla. Ciò è una conseguenza del grande principio che nulla avviene senza una ragione, così come deve esservi anche una ragione per cui esista una cosa piuttosto che un'altra.