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i. — verità di ragione e di fatto | 19 |
zione, fra le infinite possibilità che gli si offrivano, proprio questa e non un altra? Che cosa lo ha guidato nella scelta?
Nulla avviene senza un perché sufficiente, o senza una ragione determinante. In virtù di questo principio, che ci conduce oltre i limiti raggiunti dai nostri predecessori, Dio non cambia mai volontà e operazione senza averne qualche valida ragione. E quando la cosa di cui si tratta è di natura uniforme e semplice, siamo in condizione di giudicare (per quanto povere creature si sia) se vi può essere una ragione o no. Quando la volontà di Dio è impiegata da sola, senza che nella natura delle creature vi sia la ragione di questa volontà, né il modo del suo operare, si tratta di un puro miracolo: criterio poco opportuno in filosofia, come se Dio volesse (per esempio) che i pianeti si muovessero in linea curva senza essere spinti da altri corpi. ....Ogni volta che noi conosciamo qualche cosa delle opere di Dio, vi troviamo dell'ordine.
(Lettera allo Hartsoeker, 1711. G. III, 52D).
Il principio della ragion sufficiente, dunque, come vale per risalire attraverso le cause dai dati esistenti fino a Dio, così lieve essere applicato a Dio stesso, il quale, creando questo mondo, non ha agito arbitrariamente, ma è stato guidato da un criterio della sua azione. Non ha agito, neppur lui, senza una ragione del suo agire; e questa ragione che, determina la sua volontà, è il criterio del massimo bene, della massima perfezione.
A questo criterio Dio si è ispirato nel creare il mondo, e a questo criterio si deve ricorrere dunque come alla ultima ragione di tutta la creazione. Il bene e la perfezione come motivo dell'esistenza delle cose, viene chiamato causa finale.
Io ritengo che, ben lungi dal dover escludere le cause finali dalla considerazione fisica, come pretende Descartes nei Principî di Filosofia, parte 1, art. 28, sia piuttosto per mezzo di esse che tutto si debba determinare, poiché