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254 | EMILIO SALGARI |
Otto colpi rimbombarono uno dietro l’altro.
La Scotennatrice, crivellata di palle, lasciò cadere il suo scudo e l’ascia, mandò un urlo selvaggio di belva ferita a morte e precipitò a terra macchiando di rosso la neve ed il suo bianco mantellone.
Nel medesimo istante l’indian-agent con un colpo di rifle abbatteva il vecchio Nube Rossa.
Solamente cinque o sei indiani sfuggirono alla strage allontanandosi verso il settentrione e scomparendo fra le macchie.
Primo pensiero di John, quando la lotta fu finita, fu quello di mettersi in cerca di Sandy-Hook.
Il bandito era ancora in sella strettamente abbracciato al collo del suo mustano, il quale, colpito forse dai winchesters indiani, pareva moribondo.
― Sandy! Sandy! ― gridò ― Harry, Giorgio, signor Devandel, accorrete! —
Aveva appena finito di pronunziare queste parole, che cavallo e cavaliere rovinarono insieme al suolo.
L’ascia di guerra di Minehaha si era staccata allargando la ferita, e dallo squarcio uscivano insieme fiotti di sangue e brani di cervello.
— È morto! — disse John con voce commossa. — Era un bandito, ma non meritava una simile fine.
Si avvicinò a Minehaha. La terribile Scotennatrice, in un supremo sforzo, si era avvolta nel mantello ereditato da sua madre e pareva che dormisse.
Perfino i suoi lineamenti fieri, quasi maschili, si erano raddolciti nello spasimo dell’agonia.
John raccolse lo scudo di guerra, guardò malinconicamente la sua capigliatura appesa ad un anello d’argento e la strappò rabbiosamente, dicendo:
― Mi farò un’altra parrucca coi capelli miei. Ora il dramma è finito! ―