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LE SELVE ARDENTI | 251 |
I forti e valorosi uomini delle selve del Dominio Inglese furono pronti ad accorrere alla chiamata.
Oltre le piccole pale da neve, erano armati anche di asce per aprirsi il passo attraverso i boschi delle regioni settentrionali.
In meno di due ore quegli uomini instancabili e abilissimi in tutti i lavori piantarono intorno alla piccola macchia una palizzata, non tanto alta perchè un cavallo potesse superarla, per tentare, se fosse stato necessario, una vigorosa offensiva.
John e Harry, sellati i loro cavalli, si erano spinti nei dintorni colla speranza di aver nuove dei cinque esploratori, ma senza risultato.
— E dunque, John? — chiese Harry, il quale non poteva più star fermo.
— Eh via, aspettiamo — rispose l’indian-agent. — Non saresti più tu uno scorridore di prateria?
— Sono inquieto.
— Ed io non meno di te; tuttavia io non dispero di rivederli prima dell’alba.
— Tante ore d’angoscia?
— È la guerra, mio caro. Vi è una cosa che mi stupisce.
— Quale, John!
— Che questa notte i lupi non urlano. Ciò significa che hanno sentito gl’indiani.
— E concludi?
— Che questa notte noi avremo infallantemente un attacco da parte di Nube Rossa e di Minehaha.
— Fortunatamente siamo in buon numero.
— E i canadesi si sono sempre battuti splendidamente nelle guerre contro gl’indiani dei grandi laghi. —
Ad un tratto fece un gesto, portandosi una mano all’orecchio destro, come per raccogliere meglio i più lontani rumori.
— Uno sparo — disse poi.
— Non ti sei ingannato, John?
— È impossibile: aggiungerò anzi che è stato un colpo di rivoltella.
— Che udito sottile!
— Ci sono abituato — rispose l’indian-agent.
— Andiamo avanti?
— No, ripieghiamo verso il campo. Là noi saremo più sicuri. —
Tornarono lentamente verso la macchia, dove i canadesi stavano già appiattati dietro la palizzata coi rifles in mano, pronti a fare una buona accoglienza agl’indiani.