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248 EMILIO SALGARI

— Non gli guastate l’appetito.

— Corpo d’un tuono! Non m’irritate, mister John.

— Io? Sognate voi! —

Il bandito si gettò sul conduttore di feretri e gli rovesciò le tasche.

— Quindici sterline! — urlò, affrettandosi a raccoglierle. — Erano le ultime che possedeva il lord.

L’ha derubato e poi lo ha assassinato. Io, al suo posto, sarei stato più onesto. Tuttavia che fama pessima mi hanno affibbiata!

— A torto o a ragione? — chiese John un po’ ironicamente.

— Io non lo so — rispose bruscamente Sandy.

Poi, guardandolo bene in viso gli chiese:

― Avete avuto da lagnarvi voi di me, mister?

― No, anzi.

― E sono molti anni che ci conosciamo.

― È vero. —

Sandy-Hook fece saltare fra le due mani le sterline prese al becchino, se le mise in tasca, poi disse:

― Bah, non ho perduta la mia giornata! ―

Diede un ultimo sguardo al conduttore di feretri, uno sguardo pregno d’odio, perchè forse gli aveva ucciso il gallo dalle uova d’oro e raggiunse i canadesi, i quali stavano preparando la cena, colla speranza che i loro compagni mandati in esplorazione tornassero presto.

Invece, nulla. Il sole tramontò, le tenebre si stesero sulla bianca pianura rendendola cupa, ma nessun cavaliere fu segnalato.

Una grande inquietudine regnava nel campo.

Gli scorridori erano stati sorpresi in qualche imboscata e scotennati dai guerrieri di Minehaha e di Nube Rossa?

— Che cosa dici tu, John? — chiese il signor Devandel.

— Noi non abbiamo udito nessun colpo di fucile, quindi non ha avuto luogo nessun combattimento. Vorrei per altro darvi un consiglio.

— Parla liberamente.

― Io sono più che certo che le Selve Ardenti tenteranno contro di noi un attacco disperato. Prendiamo dunque le nostre precauzioni.

— Vuoi dire?

― Di questa macchia formiamo un piccolo campo trincerato, mentre abbiamo tempo.

— Abbattendo degli alberi ed improvvisando delle trincee?

― Sì, signor Devandel.

― Siamo in buon numero e faremo presto. A me, canadesi! ―