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20 | EMILIO SALGARI |
A un tratto Curlam, che si trovava dinanzi all’indian-agent, raggomitolato su sè stesso, mandò un urlo.
Quasi nel medesimo momento il lungo tronco di pino montato dal signor Devandel e da John oscillò spaventosamente, come se qualche altro essere più o meno umano avesse cercato d’imbarcarsi su quella strana scialuppa.
La scossa era stata così improvvisa, che i due uomini, per non perdere completamente l’equilibrio, avevano affondate istintivamente lo carabine nel fiume, sperando di toccare il fondo.
— John! — gridò il signor Devandel quando il tronco ebbe finalmente ripresa la sua stabilità, ma non interamente poichè pendeva molto verso la parte anteriore.
— È passato un albero presso di noi, è vero? — chiese l’indian-agent.
— Sì, l’ho veduto; anzi, temevo che ci urtasse.
— Quel birbante l’ha lasciato, credendo di trovarsi più sicuro sul nostro tronco e contando senza dubbio di fare una scorpacciata della nostra carne.
— Di quale birbante intendi parlare, John?
— Non vedete quei due punti fosforescenti, verdastri, contratti come un i e che sono fissi su di noi.
— Mi sei davanti, e non posso veder niente.
— Un magnifico giaguaro naviga insieme con noi, signor Devandel.
— Scherzi?
— Sì, con questo freddo cane? Non ne ho proprio alcuna voglia.
— E così?
— Dove sono Harry e Giorgio?
— Sono lontani da noi almeno trecento passi, e vanno alla deriva danzando un furioso fandango.
— E noi abbiamo le carabine bagnate.
— La mia non è più in grado di sparare.
— E nemmeno la mia.
— Bell’affare! E la corrente ci porta dove Dio vuole senza lasciarci tempo di approdare.
— E dove approdare? Non vedi che le rive sono tagliate a picco?
— È vero, signor Devandel.
— O perderemo le nostre gambe per il freddo intenso, o proveremo i denti del giaguaro.
— Oh, questo non lo so!
— Lasciami vedere quella bestiaccia. —