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Capitolo XXII.
Fra il lord e Minehaha regnò un breve silenzio; come se entrambi si trovassero assai imbarazzati a riprendere il discorso; poi la sakem lo ruppe bruscamente con un’altra risata stridula, che aveva qualche cosa di selvaggio.
— Che cosa dici tu, padre? — domandò a Nube Rossa, il quale si era messo dietro l’inglese, impugnando l’ascia di guerra.
Il vecchio e terribile guerriero aggrottò la fronte, digrignò i denti, poi rispose:
— Basta con le macchie bianche nella mia famiglia!
— E tu crederesti?
— Anche tua madre amò un uomo bianco — disse Nube Rossa con voce irata.
— E poi lo scotennò.
— Era suo dovere: l’uomo bianco aveva ucciso suo figlio. —
Lord Wylmore, colle mani sprofondate nelle tasche, aspettava pazientemente che il colloquio fra padre e figlia terminasse.
Quantunque si trovasse circondato da oltre trenta indiani, i quali lo guardavano di traverso stringendo i manichi dei loro coltelli da scotennare, dimostrava una calma meravigliosa.
Diamine! Non era forse una gran distrazione che un lord inglese si abbassasse ad offrire la sua nobilissima mano ad una selvaggia? Almeno così la pensava il mattoide.
Minehaha finalmente si volse verso di lui e gli chiese:
— Dunque voi vorreste diventare il mio padrone?
— Non padrone, marito, marito — rispose il lord. — Io non essere indiano pelle-rossa.
— E mi amate?
— Io sognarvi sempre da molti anni.