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176 | EMILIO SALGARI |
― Che cosa? — domandò lo scorridore, il quale invece da parecchi minuti seguiva attentamente le mosse di cinque forme oscure che risaltavano vivamente sulla neve illuminata dalla luna.
— Bestie venire.
— Ne siete ben sicuro, milord?
— Io vedere.
— E se invece di bestie fossero dei vermi rossi?
— Minehaha?
— Quella furba, milord, non sarà diventata d’un tratto così stupida da tornare indietro.
— Cavalieri indios?
— Certo, milord.
— Cinque?
— Sì, cinque. Avete ancora una buona vista.
— E avere a me presi occhiali.
— Potete farne a meno. —
Ad un tratto Giorgio si alzò di colpo, e dopo aver interrogato ansiosamente l’orizzonte, si mise in ascolto.
— Udite voi, milord? — chiese.
— Lupi urlare.
— Non sono lupi; son cani questi.
— Cani, qui? Che cosa fare quelle brave bestie, qui?
— E quello che vorrei sapere anch’io. Intanto sarà bene svegliare i compagni.
Un momento dopo gli altri quattro avventurieri erano in piedi colle carabine in mano. Avevano già osservate subito le cinque forme scure che si movevano a più di mezzo chilometro di distanza, seguendo dei piccoli gruppi di betulle, ed avevano uditi i latrati.
— Questi sono di cani canadesi — disse l’indian-agent. — Che qualche slitta si avvicini? La pianura è ben gelata e si presta per quei piccoli e veloci veicoli.
— Ma dove sono? — chiese Sandy-Hook. — I cinque indiani, poichè quelli sono proprio cavalieri rossi, li vedo benissimo.
— Devono essere ancora lontani — rispose John.
— Se vi sono dei cani vi sarà anche un uomo che li guiderà — disse il signor Devandel.
— Certo.
— E lo lasceremo scotennare da quei cinque furfanti?
— Oh, no! — rispose risolutamente Sandy-Hook. — Quei cavalieri devono essere Selve Ardenti, distaccati per dare la caccia al disgraziato