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150 | EMILIO SALGARI |
— Perchè domani sera, prima del tramonto, tu ed i tuoi compagni sarete tutti morti. —
Nube Rossa fece udire un grugnito, e si volse rabbiosamente sull’altro fianco.
— Ah, è vero! — disse l’indian-agent con un amaro sorriso. — Mi ero scordato di trovarmi fra le unghie di Minehaha, la figlia della donna che scotennai. —
Poi, alzando la voce tonò:
— Sei proprio sicura di uccidere me ed i miei compagni? Gli americani sono stanchi di queste atrocità, e non so quale spaventosa vendetta ne prenderebbero. Pensaci, Minehaha. Essi possono giungere da un momento all’altro e distruggere completamente la frazione dei Sioux che ha assunto il nome di Selve Ardenti. —
Un sorriso sprezzante contorse le labbra della sakem.
— Noi sapremo morire colle armi in pugno! — disse poi, con orgogliosa fierezza. — La nostra razza è destinata a scomparire e mescolare la polvere delle sue ossa a quelle dei bisonti.
Vada distrutta tutta, ma prima di cadere noi faremo cadere molti dei larghi coltelli dell’ovest.
Vengano: siamo pronti! —
Alzò la voce, gridando:
— Aquila Bianca! —
Il sottocapo, che doveva vegliare dinanzi all’apertura della tenda colla sua scorta, fu pronto ad entrare.
— La sakem mi chiama? — chiese.
— Conduci via questo viso pallido — rispose Minehaha, con alterezza. — Mi ha annoiato abbastanza.
— Che cosa devo farne?
— Lo saprai domani. Portalo via.
— E la mia capigliatura? — disse John mordendosi le mani dalla rabbia.
― Rimarrà sul mio scudo finchè avrò un soffio di vita — rispose la sakem. — Va’!
― Non so, Minehaha, se la mia capigliatura ti porterà fortuna ― disse l’indian-agent. — Io sono certo di non morire così presto e di non trovarti nelle praterie celesti. —
L’Aquila Bianca afferrò per le spalle il prigioniero e lo spinse fuori della tenda, dove già attendeva la scorta.
Minehaha rimase un momento diritta dinanzi alla fiamma crepitante; poi ripose lo scudo adorno della capigliatura di John, nel cassettone.