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LE SELVE ARDENTI 147

passare coi suoi grandi occhi ardenti, il suo mantello svolazzante sopra la groppa del corsiero mai esausto, con un tomahawk in mano che agita minacciosamente.

La sua voce che tuona come quella d’un tornado, mi grida continuamente:

«Minehaha, voglio la mia capigliatura per entrare nelle praterie celesti. Il buon Manitou così non mi vuole».

Padre, glie l’hai data tu? —

Nube Rossa si volse sull’altro fianco e fumò rabbiosamente.

Minehaha puntò un dito contro l’indian-agent e disse:

— Ecco l’uomo che l’ha scotennata, ed ecco quest’uomo nelle nostre mani.

Viso pallido, quando tu hai sparato contro mia madre, sulle rive del torrente delle Sabbie, in quella fatale giornata che doveva costare a noi così gravi perdite, perchè molti sakems ci furono trucidati, non ti sentisti tremare la mano? —

John rimase impassibile.

— Quando la fredda lama del tuo coltello passò sotto i lunghi capelli di mia madre strappandoli insanguinati, non tremò la tua anima?

— No — rispose John con accento glaciale. — E sai perchè, Minehaha? Perchè tua madre aveva scotennato il mio colonnello.

— Che aveva ucciso l’Uccello della notte, figlio di mia madre e dell’uomo bianco! — urlò Minehaha.

Nube Rossa lanciò via il calumet che stava fumando e grugnì come un orso grigio.

Certo, quel ricordo doveva addolorarlo non poco.

Minehaha si era lasciata cadere quasi affranta, sul cranio di bisonte, nascondendosi il viso con un lembo del suo mantellone.