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144 | EMILIO SALGARI |
— E la volevi? — chiese la sakem con voce stridula.
— Certo, — ripose John con voce invece affatto tranquilla.
— Voi, visi pallidi, potete entrare nelle vostre praterie celesti anche senza capigliatura.
— Chi te lo ha detto?
— Un uomo che un giorno comparve fra lo nostra tribù e che cercava d’insegnare la religione dei visi pallidi.
— E che ne facesti di quell’uomo?
— Mi aveva annoiata ed un giorno lo scotennai, — rispose freddamente Minehaha.
— Sempre giaguara.
— Sono figlia di mia madre, della grande Yalla! —
Nube Rossa per la prima volta si scosse, e dopo di aver lanciato in aria un nuvolone di fumo, disse con voce roca:
— Bene, piccina. —
L’indian-agent gli gettò uno sguardo pieno d’odio e di disprezzo; ma non fece proprio nessun effetto sulla vecchia pelle del sakem dei Corvi.
— Se ti piace, continua — disse John.
Minehaha lo guardò freddamente; poi, raccolto il mantellone bianco, chiese:
— Non rassomiglio a mia madre?
— Quando io ti portavo in braccio sul mio mustano verso il Lago Salato, non eri che un’isolente monella, e tale ti sei conservata. —
Nube Rossa alzò la testa e brontolò:
— Ecco un uomo! Sarebbe un male a ucciderlo. Ma è mia figlia che comanda oggi.
I Corvi sono scomparsi. —
Minehaha si era voltata verso suo padre, come se un crotalo l’avesse morsicata, ed un urlo soffocato le sfuggì dalle labbra.
— Lasciare quest’uomo ancora in vita? — gridò con foga selvaggia. — Ah, no!
I Corvi sono scomparsi, ma sono rimasti ancora dei Sioux per compiere delle vendette di sangue.
Padre, quest’uomo scotennò tua moglie, e tua moglie era mia madre.
— Lo so, — grugnì Nube Rossa.
— Le stagioni delle foglie pendenti sono passate da molti anni; eppure tutte le notti io vedo galoppare fra le alte erbe della bassa prateria il bianco cavallone di mia madre. Ella cavalca, la grande sakem che tutti i Sioux ed anche i tuoi Corvi ammiravano per il suo coraggio che ben pochi guerrieri possedendo. Io la vedo sempre passare e ri-