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140 | EMILIO SALGARI |
— Le loro tende non sono meno profumate di questa, capitano, — rispose John. — La pulizia è ignota agl’indiani.
— Questo lo so, ma qui si soffoca. Se si potesse alzare un lembo della tenda per lasciare almeno sfogare il fumo....
— Correreste il pericolo di farvi troncare la mano da un colpo di scure, signor Devandel! Siamo circondati e ben sorvegliati.
Abbiate un po’ di pazienza; anche i nostri polmoni finiranno coll’abituarsi.
— Ci vorrà del tempo.
— Meno di quello che credete.
— E poi che cosa faranno di noi?
— Dovreste immaginarvelo: ma io conto sempre su Sandy-Hook.
— Speri che giunga in tempo a strapparci dalle mani di Minehaha?
— Sì, signor Devandel!
— Uhm!
— Eppure io son sicuro di non lasciare a Nube Rossa la mia parrucca.
— La lascerai a sua figlia.
— Nemmeno.
— Senti dunque la vicinanza degli americani? Avresti un naso così straordinario?
— Chi lo sa? — rispose l’indian-agent.
In quel momento entrarono due pelli-rosse portando due canestri pieni di viveri, in mezzo ai quali troneggiavano due bottiglie di quell’infame wiskey di prateria, fabbricato quasi tutto a base di vetriolo per rovinare più rapidamente la razza rossa.
— Manda Minehaha — disse uno dei due, mentre l’altro con pochi colpi di coltello tagliava i lazos che legavano le braccia ai prigionieri.
— Ringraziala da parte nostra — disse John ironicamente. — Ma avvertila che noi non berremo il liquore che intende offrirci e nemmeno assaggeremo i suoi viveri. —
Quantunque avesse le gambe ancora legate, con uno sforzo supremo si era alzato, e afferrati i due canestri li aveva scaraventati addosso ai portatori.
— Dite alla vostra sakem, — gridò mentre i due indiani, inondati di wiskey e coperti di maiz condito con grasso d’orso e di lamponi selvatici, lo guardavano stupiti — che gli uomini bianchi rifiutano e sdegnano la sua cena.
— Benissimo, camerata, ― disse Harry. ― Ecco una fiera risposta, degna di voi, data alla feroce figlia di quel vecchio alligatore che si chiama Nube Rossa. —