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cosa che fu dal lodato Generale riprovata, e me ne sgridò facendomi fare piò riflessioni.
La mia situazione però era tale da non potermi ritirare da quel partito, nel quale solo mi era messa ad vendictam; ed io non ascoltai le esortazioni del Generale: solo proseguiva a frequentare la di lui casa ad oggetto di aver notizia di mio marito Antonio.
Intanto, se non erro, nel gennaio 1861 venuta a stare in Roma la vedova Regina di Napoli dopo la caduta di Gaeta, mi domandò il Generale che ne dicesse il partito, che se ne pensasse ec. Al che io risposi, però garbatamente, che appartenendo al partito non poteva far la delatrice. Allora mi fece nuove prediche, e mi dichiarò che non avessi ritenuto che sarebbe in egual modo caduto il Governo Pontificio; e mi affacciò i pericoli e le compromesse a cui andavo incontro non che le immoralità del partito Piemontese a cui appartenevo.
Feci 1‘eroina col mantenermi fedele al partito e segreta sui fatti che ne conosceva, e ciò per un buon lasso di tempo. Intanto proseguivo ad avvicinare il Generale, il quale giunse a dirmi: «Ebbene voi siete impersuadibiie; ma verrà il tempo in cui conoscerete l’errore in cui siete, e vi troverete disgustata del partito medesimo: ed in allora voi me ne farete avvertito perchè voglio proteggervi.»
Nell’infrattanto venne in Roma S. M il Re di Napoli con la sua sposa e corte, e mio marito Antonio mi scriveva che inutili erano state tutte le premure, mentre il Ministero di Torino lo rifiutava per le replicate istanze da esso fatte al Ministero delle Armi Pontificie onde essere raccolto nel corpo, in specie nel momento che si batteva a Castelfidardo.
Mi recai dal signor Generale per fargli leggere la lettera di mio marito. Colpì esso questa circostanza per persuadermi che io batteva una strada pericolosa ed inutile, e cercò d’insinuarmi l’idea di adoperarmi in appressò a favorire la Corte francese, quella di Napoli e la stessa legittimità Pontificia. Esso adunque mi consigliò di pormi seco lui d’intelligenza a dichiarare