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16 | P R I M A |
Nè rompea il sonno: et quel che in me non era,
Mi pareva un miracolo in altrui.
30Lasso, che son? che fui?
La vita il fin, e ’l dì loda la sera.
Chè sentendo il crudel di ch’io ragiono,
Infin allor percossa di suo strale
Non essermi passato oltra la gonna,
35Prese in sua scorta una possente donna;
Ver cui poco giammai mi valse, o vale
Ingegno, o forza, o dimandar perdono.
E i duo mi trasformaro in quel ch’i’ sono,
Facendomi d’uom vivo un lauro verde;
40Che per fredda stagion foglia non perde.
Qual mi fec’io quando primier m’accorsi
Della trasfigurata mia persona:
E i capei vidi far di quella fronde
Di che sperato avea già lor corona;
45E i piedi, in ch’io mi stetti, e mossi, e corsi,
(Com’ogni membro all’anima risponde)
Diventar due radici sovra l’onde,
Non di Peneo, ma d’un più altero fiume;
E n’ duo rami mutarsi ambe le braccia!
50Nè meno ancor m’agghiaccia
L’esser coverto poi di bianche piume
Allor che fulminato, e morto giacque
Il mio sperar che tropp’alto montava.
Chè perch’io non sapea dove, nè quando
55Me ’l ritrovassi; solo lagrimando,
Là ’ve tolto mi fu, dì, e notte andava
Ricercando dal lato, e dentro all’acque:
E già mai poi la mia lingua non tacque,
Mentre poteo, del suo cader maligno:
60Ond’io presi col suon color d’un cigno.
Così lungo l’amate rive andai;
Che volendo parlar cantava sempre
Mercè chiamando con estrania voce:
Nè