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P A R T E. 5

SONETTO IV.


Q
Uel ch’infinita provvidenza, ed arte

     Mostrò nel suo mirabil magistero:
     Che criò questo, e quell’altro emispero,
     4E mansueto più Giove, che Marte;
Venendo in terra a illuminar le carte,
     Ch’avean molt’anni già celato il vero,
     Tolse Giovanni dalla rete, e Piero,
     8E nel regno del Ciel fece lor parte.
Di sè, nascendo, a Roma non fe’ grazia,
     A Giudea sì: tanto sovr’ogni stato
     11Umiltate esaltar sempre gli piacque:
Ed or di picciol borgo un Sol n’ ha dato
     Tal, che natura e ’l luogo si ringrazia
     14Onde sì bella Donna al mondo nacque.


SONETTO V.


Q
Uand’io movo i sospiri a chiamar voi,

     E ’l nome che nel cor mi scrisse Amore;
     LAUdando s’incomincia udir di fore
     4Il suon de’ primi dolci accenti suoi.
Vostro stato REal, che ’ncontro poi,
     Raddoppia all’alta impresa il mio valore:
     Ma, TAci, grida il fin: che farle onore
     8E d’altr’omeri soma, che da’ tuoi.
Così LAUdare, e REverire insegna
     La voce stessa, pur ch’altri vi chiami,
     11O d’ogni reverenza, e d’onor degna:
Se non che forse Appollo si disdegna,
     Ch’a parlar de’ suoi sempre verdi rami
     14Lingua mortal presuntuosa vegna.