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DELLA DIVINITA'. 321

E ’l sole e tutto ’l ciel disfar a tondo
     Con le sue stelle, ancor la terra e ’l mare,
     E rifarne un più bello e più giocondo.
25Qual meraviglia ebb’io, quando ristare
     Vidi in un punto quel che mai non stette,
     Ma discorrendo suol tutto cangiare!
E le tre parti sue vidi ristrette
     Ad una sola, e quella una esser ferma
     30Sì che, come solea, più non s’affrette,
E quasi in terra d’erbe ignuda et erma,
     Né «fia» né «fu» né «mai» né «inanzi» o «’ndietro»
     Ch’umana vita fanno varia e ’nferma.
Passa il penser sì come sole in vetro,
     35Anzi più assai, però che nulla il tene:
     O qual grazia mi fia, se mai l’impetro,
Ch’i’ veggia ivi presente il sommo bene,
     Non alcun mal, che solo il tempo mesce,
     E con lui si diparte e con lui vene!
40Non avrà albergo il sol Tauro né Pesce,
     Per lo cui varïar nostro lavoro
     Or nasce, or more, et or scema, or cresce.
Beat’i spirti che nel sommo coro
     Si troveranno o trovano in tal grado
     45Che sia in memoria eterna il nome loro!
O felice colui che trova il guado
     Di questo alpestro e rapido torrente
     Ch’ha nome vita et a molti è sì a grado!
Misera la volgare e cieca gente,
     50Che pon qui sue speranze in cose tali
     Che ’l tempo le ne porta sì repente!
O veramente sordi, ignudi e frali,
     Poveri d’argomenti e di consiglio,
     Egri del tutto e miseri mortali!
55Quei che governa il ciel solo col ciglio,
     Che conturba et acqueta gli elementi,
     Al cui saver non pur io non m’appiglio,