Urtar come leoni, e come draghi
Colle code avvinghiarsi. Or che è questo,
Ch’ognun del suo saver par che s’appaghi?
Carneade vidi in suo’ studi sì desto
Che, parlando egli, il vero e ’l falso a pena
Si discernea, così nel dir fu presto;
La lunga vita e la sua larga vena
D’ingegno pose in accordar le parti
Che ’l furor litterato a guerra mena;
Né ’l poteo far, ché come crebber l’arti
Crebbe l’invidia, e col savere inseme
Ne’ cori enfiati i suo’ veneni ha sparti.
Contra ’l buon Siro, che l’umana speme
Alzò ponendo l’anima immortale,
S’armò Epicuro, onde sua fama geme,
Ardito a dir ch’ella non fusse tale;
Così al lume fu fumoso e lippo
Co la brigata al suo maestro eguale:
Di Metrodoro parlo e d’Aristippo.
Poi con gran subbio e con mirabil fuso
Vidi tela sottil ordir Crisippo.
Degli Stoici ’l padre, alzato in suso
Per far chiaro suo dir, vidi, Zenone,
Mostrar la palma aperta e ’l pugno chiuso;
E per fermar sua bella intenzïone,
[la sua tela gentil tesser Cleante,]
Che tira al ver la vaga opinïone.
[Qui lascio, e più di lor non dico avante.]