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DELLA FAMA CAP III. 315

Urtar come leoni, e come draghi
     Colle code avvinghiarsi. Or che è questo,
     Ch’ognun del suo saver par che s’appaghi?
Carneade vidi in suo’ studi sì desto
     Che, parlando egli, il vero e ’l falso a pena
     Si discernea, così nel dir fu presto;
La lunga vita e la sua larga vena
     D’ingegno pose in accordar le parti
     Che ’l furor litterato a guerra mena;
Né ’l poteo far, ché come crebber l’arti
     Crebbe l’invidia, e col savere inseme
     Ne’ cori enfiati i suo’ veneni ha sparti.
Contra ’l buon Siro, che l’umana speme
     Alzò ponendo l’anima immortale,
     S’armò Epicuro, onde sua fama geme,
Ardito a dir ch’ella non fusse tale;
     Così al lume fu fumoso e lippo
     Co la brigata al suo maestro eguale:
Di Metrodoro parlo e d’Aristippo.
     Poi con gran subbio e con mirabil fuso
     Vidi tela sottil ordir Crisippo.
Degli Stoici ’l padre, alzato in suso
     Per far chiaro suo dir, vidi, Zenone,
     Mostrar la palma aperta e ’l pugno chiuso;
E per fermar sua bella intenzïone,
     [la sua tela gentil tesser Cleante,]
     Che tira al ver la vaga opinïone.
[Qui lascio, e più di lor non dico avante.]