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DELLA FAMA CAP II. 309

Vidi Siface pari a simil scempio;
     Brenno, sotto cui cadde gente molta,
     E poi cadde ei sotto il delfico tempio.
In abito diversa, in popol folta
     Fu quella schiera; e mentre gli occhi alti ergo,
     Vidi una parte tutta in sé raccolta,
E quel che volse a Dio far grande albergo
     Per abitar fra gli uomini, era il primo;
     Ma chi fe’ l’opra gli venia da tergo:
A lui fu destinato, onde da imo
     Produsse al sommo l’edificio santo,
     Non tal dentro architetto, com’io stimo.
Poi quel ch’a Dio familïar fu tanto
     In grazia, a parlar seco a faccia a faccia,
     Che nessun altro se ne può dar vanto;
E quel che, come un animal s’allaccia,
     Co la lingua possente legò ’l sole,
     Per giugner de’ nemici suoi la traccia.
O fidanza gentil! chi Dio ben cole,
     Quanto Dio ha creato aver suggetto,
     E ’l ciel tener con semplici parole!
Poi vidi ’l padre nostro, a cui fu detto
     Ch’uscisse di sua terra e gisse al loco
     Ch’a l’umana salute era già eletto;
Seco il figlio e ’l nipote, a cui fu il gioco
     Fatto de le due spose; e ’l saggio e casto
     Joseph dal padre lontanarsi un poco.
Poi stendendo la vista quant’io basto,
     Colui vidi oltra il qual occhio non varca,
     La cui inobedienza ha il mondo guasto.
Di qua da lui, chi fece la grande arca,
     E quei che cominciò poi la gran torre
     Che fu sì di peccato e d’error carca;
Poi quel buon Juda a cui nessun può torre
     Le sue leggi paterne, invitto e franco
     Com’uom che per giustizia a morte corre.