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308 DEL TRIONFO

Vidi l’altro Alessandro non lunge indi
     Non già correr così, ch’ebbe altro intoppo
     (quanto del vero onor, Fortuna, scindi!);
I tre Teban ch’ i’ dissi, in un bel groppo;
     Ne l’altro, Aiace, Diomede e Ulisse
     Che desiò del mondo veder troppo;
Nestor che tanto seppe e tanto visse;
     Agamenón e Menelao, che ’n spose
     Poco felici al mondo fer gran risse;
Leonida, ch’ a’ suoi lieto propose
     Un duro prandio, una terribil cena,
     E ’n poca piazza fe’ mirabil cose;
Et Alcibiade, che sì spesso Atena
     Come fu suo piacer volse e rivolse
     Con dolce lingua e con fronte serena;
Milziade che ’l gran gioco a Grecia tolse,
     E ’l buon figliuol che con pietà perfetta
     Legò sé vivo e ’l padre morto sciolse;
Teseo, Temistoclès con questa setta,
     Aristidès che fu un greco Fabrizio:
     A tutti fu crudelmente interdetta
La patria sepoltura, e l’altrui vizio
     Illustra lor, ché nulla meglio scopre
     Contrari due com ’piccolo interstizio.
Focïon va con questi tre di sopre,
     Che di sua terra fu scacciato morto;
     Molto diverso il guidardon da l’opre!
Com’io mi volsi, il buon Pirro ebbi scorto,
     E ’l buon re Massinissa, e gli era avviso
     D’esser senza i Roman ricever torto.
Con lui, mirando quinci e quindi fiso,
     Jero siracusan conobbi, e ’l crudo
     Amilcare da lor molto diviso.
Vidi, qual uscì già del foco, ignudo
     Il re di Lidia, manifesto esempio
     Che poco val contra Fortuna scudo.