Quel di fuor miri, e quel dentro non veggia».
Questo fu quel che ti rivolse e strinse
Spesso, come caval fren, che vaneggia. 100Più di mille fïate ira dipinse
Il volto mio ch’Amor ardeva il core;
Ma voglia in me ragion già mai non vinse.
Poi se vinto ti vidi dal dolore,
Drizzai in te gli occhi allor soavemente, 105Salvando la tua vita e ’l nostro onore;
E se fu passïon troppo possente,
E la fronte e la voce a salutarti
Mossi, et or timorosa et or dolente.
Questi fur teco miei ingegni e mie arti: 110Or benigne accoglienze et ora sdegni
(tu ’l sai che n’hai cantato in molte parti),
Ch’i’ vidi gli occhi tuoi talor sì pregni
Di lagrime, ch’ i’ dissi: «Questi è corso,
Chi non l’aita, sì ’l conosco ai segni»: 115Allor provvidi d’onesto soccorso;
Talor ti vidi tali sproni al fianco,
Ch’ i’ dissi: «Qui conven più duro morso».
Così, caldo, vermiglio, freddo e bianco,
Or tristo, or lieto, infin qui t’ho condutto 120Salvo, ond’io mi rallegro, benché stanco. -
Et io: - Madonna, assai fora gran frutto
Questo d’ogni mia fé, pur ch’ i’ ’l credessi -
Dissi tremando e non col viso asciutto.
- Di poca fede! Or io, se nol sapessi, 125Se non fosse ben ver, perché ’l direi? -
Rispose, e ’n vista parve s’accendessi.
- S’al mondo tu piacesti agli occhi miei,
Questo mi taccio; pur quel dolce nodo
Mi piacque assai che intorno al cor avei; 130E piacemi il bel nome, se vero odo,
Che lunge e presso col tuo dir m’acquisti;
Né mai in tuo amor richiesi altro che ’l modo.