Pagina:Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu/374


DELLA CASTITA'. 291

Ell’avea in dosso, il dì, candida gonna,
     Lo scudo in man che mal vide Medusa.
     120D’un bel dïaspro er’ ivi una colonna,
A la qual d’una in mezzo Lete infusa
     Catena di diamante e di topazio,
     Che s’usò fra le donne, oggi non s’usa,
Legarlo vidi, e farne quello strazio
     125Che bastò ben a mille altre vendette;
     Ed io per me ne fui contento e sazio.
I’ non poria le sacre e benedette
     Vergini ch’ivi fur chiudere in rima,
     Non Calliope e Clio con l’altre sette;
130Ma d’alquante dirò che ’n su la cima
     Son di vera onestate; infra le quali
     Lucrezia da man destra era la prima,
L’altra Penelopè: queste gli strali
     Avean spezzato e la faretra a lato
     135A quel protervo, e spennachiato l’ali.
Verginia appresso e ’l fero padre armato
     Di disdegno e di ferro e di pietate,
     Ch’a sua figlia et a Roma cangiò stato,
L’una e l’altra ponendo in libertate;
     140Poi le Tedesche che con aspra morte
     Servaron lor barbarica onestate;
Judith ebrea, la saggia, casta e forte,
     E quella Greca che saltò nel mare
     Per morir netta e fuggir dura sorte.
145Con queste e con certe altre anime chiare
     Triunfar vidi di colui che pria
     Veduto avea del mondo triunfare.
Fra l’altre la vestal vergine pia
     Che baldanzosamente corse al Tibro,
     150E per purgarsi d’ogni fama ria
Portò del fiume al tempio acqua col cribro;
     Poi vidi Ersilia con le sue Sabine,
     Schiera che del suo nome empie ogni libro;