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DELLA CASTITA'. 289

Ma vertù che da’ buon non si scompagna
     Mostrò a quel punto ben come a gran torto
     Chi abbandona lei d’altrui si lagna,
Ché già mai schermidor non fu sì accorto
     50A schifar colpo, né nocchier sì presto
     A volger nave dagli scogli in porto,
Come uno schermo intrepido et onesto
     Subito ricoverse quel bel viso
     Dal colpo, a chi l’attende, agro e funesto.
55Io era al fin cogli occhi e col cor fiso,
     Sperando la vittoria ond’esser sòle,
     E di non esser più da lei diviso.
Come chi smisuratamente vole,
     Ch’ha scritte, inanzi ch’a parlar cominci,
     60Negli occhi e ne la fronte le parole,
Volea dir io: - Signor mio, se tu vinci
     Legami con costei, s’io ne son degno;
     Né temer che già mai mi scioglia quinci! -,
Quand’io ’l vidi pien d’ira e di disdegno
     65Sì grave, ch’a ridirlo sarien vinti
     Tutti i maggior, non che ’l mio basso ingegno;
Ché già in fredda onestate erano estinti
     I dorati suoi strali accesi in fiamma
     D’amorosa beltate e ’n piacer tinti.
70Non ebbe mai di vero valor dramma
     Camilla e l’altre andar use in battaglia
     Con la sinistra sola intera mamma,
Non fu sì ardente Cesare in Farsaglia
     Contra ’l genero suo, com’ella fue
     75Contra colui ch’ogni lorica smaglia.
Armate eran con lei tutte le sue
     Chiare Virtuti (o gloriosa schiera!)
     E teneansi per mano a due a due.
Onestate e Vergogna a la fronte era,
     80Nobile par de le vertù divine
     Che fan costei sopra le donne altera;