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286 TRIONFO

Or quivi triunfò il signor gentile
     Di noi e degli altri tutti ch’ ad un laccio
     Presi avea dal mar d’India a quel di Tile:
115Pensieri in grembo e vanitadi in braccio,
     Diletti fuggitivi e ferma noia,
     Rose di verno, a mezza state il ghiaccio,
Dubbia speme davanti e breve gioia,
     Penitenzia e dolor dopo le spalle:
     120Sallo il regno di Roma e quel di Troia.
E rimbombava tutta quella valle
     D’acque e d’augelli, et eran le sue rive
     Bianche, verdi, vermiglie, perse e gialle;
Rivi correnti di fontane vive
     125Al caldo tempo su per l’erba fresca,
     E l’ombra spessa, e l’aure dolci estive;
Poi, quand’è ’l verno e l’aer si rinfresca,
     Tepidi soli, e giuochi, e cibi, et ozio
     Lento, che i semplicetti cori invesca.
130Era ne la stagion che l’equinozio
     Fa vincitor il giorno, e Progne riede
     Con la sorella al suo dolce negozio.
O di nostre fortune instabil fede!
     In quel loco e ’n quel tempo et in quell’ora
     135Che più largo tributo agli occhi chiede,
Triunfar volse que’ che ’l vulgo adora:
     E vidi a qual servaggio et a qual morte,
     A quale strazio va chi s’innamora.
Errori e sogni et imagini smorte
     140Eran d’intorno a l’arco triunfale,
     E false opinïoni in su le porte,
E lubrico sperar su per le scale,
     E dannoso guadagno, ed util danno,
     E gradi ove più scende chi più sale;
145Stanco riposo e riposato affanno,
     Chiaro disnore e gloria oscura e nigra,
     Perfida lealtate e fido inganno,