Or quivi triunfò il signor gentile
Di noi e degli altri tutti ch’ ad un laccio
Presi avea dal mar d’India a quel di Tile: 115Pensieri in grembo e vanitadi in braccio,
Diletti fuggitivi e ferma noia,
Rose di verno, a mezza state il ghiaccio,
Dubbia speme davanti e breve gioia,
Penitenzia e dolor dopo le spalle: 120Sallo il regno di Roma e quel di Troia.
E rimbombava tutta quella valle
D’acque e d’augelli, et eran le sue rive
Bianche, verdi, vermiglie, perse e gialle;
Rivi correnti di fontane vive 125Al caldo tempo su per l’erba fresca,
E l’ombra spessa, e l’aure dolci estive;
Poi, quand’è ’l verno e l’aer si rinfresca,
Tepidi soli, e giuochi, e cibi, et ozio
Lento, che i semplicetti cori invesca. 130Era ne la stagion che l’equinozio
Fa vincitor il giorno, e Progne riede
Con la sorella al suo dolce negozio.
O di nostre fortune instabil fede!
In quel loco e ’n quel tempo et in quell’ora 135Che più largo tributo agli occhi chiede,
Triunfar volse que’ che ’l vulgo adora:
E vidi a qual servaggio et a qual morte,
A quale strazio va chi s’innamora.
Errori e sogni et imagini smorte 140Eran d’intorno a l’arco triunfale,
E false opinïoni in su le porte,
E lubrico sperar su per le scale,
E dannoso guadagno, ed util danno,
E gradi ove più scende chi più sale; 145Stanco riposo e riposato affanno,
Chiaro disnore e gloria oscura e nigra,
Perfida lealtate e fido inganno,