Trassimi a que’ tre spirti che ristretti
Eran già per seguire altro cammino, 105E dissi al primo: - I’ prego che t’aspetti. -
Et egli al suon del ragionar latino,
Turbato in vista, si rattenne un poco;
E poi, del mio voler quasi indivino,
Disse: - Io Seleuco son, questi è Antïoco 110Mio figlio, che gran guerra ebbe con voi;
Ma ragion contra forza non ha loco.
Questa, mia in prima, sua donna fu poi,
Ché per scamparlo d’amorosa morte
Gliel diedi, e ’l don fu lecito tra noi. 115Stratonica è ’l suo nome, e nostra sorte,
Come vedi, indivisa; e per tal segno
Si vede il nostro amor tenace e forte,
Ch’è contenta costei lasciarme il regno,
Io il mio diletto, e questi la sua vita, 120Per far, vie più che sé, l’un l’altro degno.
E se non fosse la discreta aita
Del fisico gentil, che ben s’accorse,
L’età sua in sul fiorir era finita.
Tacendo, amando, quasi a morte corse, 125E l’amar forza, e ’l tacer fu virtute;
La mia, vera pietà, ch’a lui soccorse. -
Così disse; e come uom che voler mute,
Col fin de le parole i passi volse,
Ch’a pena gli potei render salute. 130Poi che dagli occhi miei l’ombra si tolse,
Rimasi grave e sospirando andai,
Ché ’l mio cor dal suo dir non si disciolse
Infin che mi fu detto: - Troppo stai
In un penser a le cose diverse; 135E ’l tempo ch’è brevissimo ben sai. -
Non menò tanti armati in Grecia Serse
Quant’ivi erano amanti ignudi e presi,
Tal che l’occhio la vista non sofferse,