Quello è Demofoon, e quella è Fille;
Quello è Giasone, e quell’altra è Medea
Ch’Amor e lui seguio per tante ville; 130E quanto al padre et al fratel più rea,
Tanto al suo amante è più turbata e fella,
Ché del suo amor più degna esser credea.
Isifile vien poi, e duolsi anch’ella
Del barbarico amor che ’l suo l’ha tolto. 135Poi ven colei ch’ha ’l titol d’esser bella:
Seco è ’l pastor che male il suo bel volto
Mirò sì fiso, ond’uscir gran tempeste,
E funne il mondo sottosopra vòlto.
Odi poi lamentar fra l’altre meste 140Enone di Parìs, e Menelao
D’Elena, et Ermïon chiamare Oreste,
E Laodamia il suo Protesilao,
Et Argia Polinice, assai più fida
Che l’avara moglier d’Anfïarao. 145Odi ’l pianto e i sospiri, odi le strida
De le misere accese, che li spirti
Rendero a lui che ’n tal modo li guida.
Non poria mai di tutti il nome dirti,
Che non uomini pur, ma dèi gran parte 150Empion del bosco e degli ombrosi mirti.
Vedi Venere bella e con lei Marte,
Cinto di ferri i piè, le braccia e ’l collo,
E Plutone e Proserpina in disparte;
Vedi Iunon gelosa, e ’l biondo Apollo 155Che solea disprezzar l’etate e l’arco
Che gli diede in Tessaglia poi tal crollo.
Che debb’io dir? In un passo men varco:
Tutti son qui in prigion gli dèi di Varro;
E di lacciuoli innumerabil carco 160Ven catenato Giove innanzi al carro. -