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D’AMORE CAP. I. 269

55E’ fu ben ver: ma gli amorosi affanni
     Mi spaventar, sì, ch’io lasciai l’impresa:
     Ma squarciati ne porto il petto, e i panni:
Così diss’io: ed ei quand’ebbe intesa
     La mia risposta, sorridendo disse:
     60O figliuol mio, qual per te fiamma è accesa!
Io non l’intesi allor: ma or sì fisse
     Sue parole mi trovo entro la testa;
     Che mai più saldo in marmo non si scrisse.
E per la nova età, ch’ardita, e presta
     65Fa la mente, e la lingua; il dimandai:
     Dimmi per cortesia, che gente è questa.
Di qui a poco tempo tel saprai
     Per te stesso, rispose; e sarai d’elli:
     Tal per te nodo fassi, e tu nol sai;
70E prima cangerai volto e capelli,
     Che ’l nodo di ch’io parlo, si discioglia
     Dal collo, e da’ tuo’ piedi ancor ribelli.
Ma per empir la tua giovenil voglia
     Dirò di noi, e ’n prima del maggiore;
     75Che così vita, e libertà ne spoglia.
Questi è colui che ’l mondo chiama Amore;
     Amaro, come vedi, e vedrai meglio
     Quando fia tuo com’è nostro signore:
Mansueto fanciullo, e fiero veglio:
     80Ben sa chi ’l prova, e siati cosa piana
     Anzi mill’anni; e ’nfin’ad or ti sveglio.
Ei nacque d’ozio e di lascivia umana,
     Nudrito di penser dolci, e soavi,
     Fatto signor’, e Dio da gente vana.
85Qual’è morto da lui; qual con più gravi
     Leggi mena sua vita aspra, et acerba
     Sotto mille catene, e mille chiavi.
Quel che ’n sì signorile, e sì superba
     Vista vien prima, è Cesar, che ’n Egitto
     90Cleopatra legò tra’ fiori, e l’erba.