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268 DEL TRIONFO

L’abito altero, inusitato e novo
     20Mirai; alzando gli occhi gravi, e stanchi:
     Ch’altro diletto che ’mparar, non provo.
Quattro destrier via più che neve bianchi:
     Sopr’un carro di foco un garzon crudo
     Con arco in mano, e con saette a’ fianchi;
25Contra le quai non val’elmo, nè scudo:
     Sopra gli omeri avea sol due grand’ali
     Di color mille, e tutto l’altro ignudo;
D’intorno innumerabili mortali,
     Parte presi in battaglia, e parte uccisi,
     30Parte feriti di pungenti strali.
Vago d’udir novelle, oltra mi misi
     Tanto, ch’io fui nell’esser di quegli uno
     Ch’anzi tempo ha di vita Amor divisi.
Allor mi strinsi a rimirar, s’alcuno
     35Riconoscessi nella folta schiera
     Del Re sempre di lagrime digiuno.
Nessun vi riconobbi: e s’alcun v’era
     Di mia notizia, avea cangiato vista
     Per morte, o per prigion crudele, e fera.
40Un’ombra alquanto men che l’altre trista
     Mi si fè incontro; e mi chiamò per nome
     Dicendo; Questo per amar s’acquista.
Ond’io maravigliando dissi; Or come
     Conosci me, ch’io te non riconosca?
     45Ed ei; Questo m’avvien per l’aspre some
De’ legami ch’io porto; e l’aria fosca
     Contende a gli occhi tuoi; ma vero amico
     Ti sono; e teco nacqui in terra Tosca.
Le sue parole, e ’l ragionar’antico
     50Scoperson quel che ’l viso mi celava:
     E così n’ascendemmo in loco aprico:
E cominciò; Gran tempo è ch’io pensava
     Vederti qui fra noi: che da’ prim’anni
     Tal presagio di te tua vita dava.