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P A R T E . 259

SONETTO CCCXV.


S
Pirto felice che sì dolcemente

     Volgei quelli occhi, più chiari che ’l sole,
     Et formavi i sospiri et le parole,
     4Vive ch’anchor mi sonan ne la mente:
Già ti vid’io, d’onesto foco ardente,
     Mover i pie’ fra l’erbe et le vïole,
     Non come donna, ma com’angel sòle,
     8Di quella ch’or m’è più che mai presente;
La qual tu poi, tornando al tuo fattore,
     Lasciasti in terra, et quel soave velo
     11Che per alto destin ti venne in sorte.
Nel tuo partir, partì nel mondo Amore
     Et Cortesia, e ’l sol cadde del cielo,
     14Et dolce incominciò farsi la morte.



SONETTO CCCXVI.


D
Eh porgi mano a l’affannato ingegno,

     Amor, et a lo stile stancho et frale,
     Per dir di quella ch’è fatta immortale,
     4Et cittadina del celeste regno;
Dammi, signor, che ’l mio dir giunga al segno
     De le sue lode, ove per sè non sale,
     Se vertù, se beltà non ebbe eguale
     8Il mondo, che d’aver lei non fu degno.
Responde: - Quanto ’l ciel et io possiamo,
     E i buon’ consigli, e ’l conversar honesto,
     11Tutto fu in lei, di che noi Morte à privi.
Forma par non fu mai dal dì ch’Adamo
     Aperse li occhi in prima; et basti or questo:
     14Piangendo i’ ’l dico, et tu piangendo scrivi. -