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DEL PETRARCA. | xxxv |
va una pelliccia di buone fodere dentro, ma di fuora scoperta, com’anco oggidì usano molti oltramontani; il che forse faceva o per l’usanza, o perchè fosse men greve. E diceva il contadino che in molti luoghi di quel cuoio era scritto variamente. Cosa che facilissimamente credo, per aver veduto scritture di mano del Petrarca fatte eziandio in pezzi di carta straccia; movendosi a scrivere repentinamente, secondo che l’animo lo sospingeva; e servendosi di qualunque materia se gli parasse davanti, uso quasi comune a tutti i poeti.
Questo ho voluto qui dire più per segno della modestia sua, che per altro; essendo chiarissimo che d’avarizia non può esser notato, perchè da tal vizio fu lontanissimo.
Ebbe molti amici, de’ quali nessuno perse mai1 se morte non glie lo tolse. Fra i privati grandemente amò Socrate, e Lelio. Questi furono due giovani familiari de’ Signori Colonnesi, coi quali visse sempre domesticamente2, ed erano partecipi del cuor suo, come di sopra di Socrate ho detto. Lelio era Romano; e vissero amici 34. anni.
Tommaso da Messina gli fu molto caro: erano d’una età, ed avevano studiato insieme a Bologna3, e sempre s’amarono carissimamente; ed esso disse, Una ætas, idem animus. Soggiungendo che, quando ebbe la nuova della morte di Tommaso, lo prese la febbre; che fu per torgli la vita.
Simodi, a chi molte Epistole scrive, fu4 nome finto. Domandavasi Francesco di San-
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