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Chè mai per alcun pacto
A lui piacer non poteo cosa vile:
125Giovene schivo et vergognoso in acto
Et in penser, poi che fatto era huom ligio
Di lei ch’alto vestigio
Li ’mpresse al core, et fecel suo simìle.
Quanto à del pellegrino et del gentile,
130Da lei tene, et da me, di cui si biasma.
Mai nocturno fantasma
D’error non fu sì pien com’ei vèr’ noi:
Ch’è in gratia, da poi
Che ne conobbe, a Dio et a la gente.
135Di ciò il superbo si lamenta et pente.
Ancor, et questo è quel che tutto avanza,
Da volar sopra ’l ciel li avea dat’ali
Per le cose mortali,
Che son scala al fattor, chi ben l’estima;
140Chè mirando ei ben fiso quante et quali
Eran vertuti in quella sua speranza,
D’una in altra sembianza
Potea levarsi a l’alta cagion prima;
Et ei l’à detto alcuna volta in rima,
145Or m’à posto in oblio con quella donna
Ch’i’ li die’ per colonna
De la sua frale vita. - A questo un strido
Lagrimoso alzo et grido:
- Ben me la die’, ma tosto la ritolse. -
150Responde: - Io no, ma Chi per sè la volse. -
Alfin ambo conversi al giusto seggio,
I’ con tremanti, ei con voci alte et crude,
Ciascun per sè conchiude:
- Nobile donna, tua sententia attendo. -
155Ella allor sorridendo:
- Piacemi aver vostre questioni udite,
Ma più tempo bisogna a tanta lite. -