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Passano al cielo, et turban la mia pace:
Sì forte ti dispiace
Che di questa miseria sia partita,
20Et giunta a miglior vita;
Che piacer ti devria, se tu m’amasti
Quanto in sembianti et ne’ tuoi dir’ mostrasti".
Rispondo: "Io non piango altro che me stesso
Che son rimaso in tenebre e ’n martire,
25Certo sempre del tuo al ciel salire
Come di cosa ch’uom vede da presso.
Come Dio et Natura avrebben messo
In un cor giovenil tanta vertute,
Se l’eterna salute
30Non fusse destinata al tuo ben fare,
O de l’anime rare,
Ch’altamente vivesti qui tra noi,
Et che sùbito al ciel volasti poi?
Ma io che debbo altro che pianger sempre,
35Misero et sol, che senza te son nulla?
Ch’or fuss’io spento al latte et a la culla,
Per non provar de l’amorose tempre!"_
Et ella: "A che pur piangi et ti distempre?
Quanto era meglio alzar da terra l’ali,
40Et le cose mortali
Et queste dolci tue fallaci ciance
Librar con giusta lance,
Et seguir me, s’è ver che tanto m’ami,
Cogliendo omai qualchun di questi rami!"
45"I’ volea demandar - respond’io allora - :
Che voglion importar quelle due frondi?"_
Et ella: "Tu medesmo ti rispondi,
Tu la cui non penna tanto l’una honora:
Palma è victoria, et io, giovene anchora,
50Vinsi il mondo, et me stessa; il lauro segna
Trïumpho, ond’io son degna,
Mercè di quel Signor che mi die’ forza.