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248 | S E C O N D A |
SONETTO CCCVI.
Spira sì spesso, ch’i’ prendo ardimento
Di dirle il mal ch’i’ò sentito et sento,
4Che, vivendo ella, non sarei stat’oso.
I’ incomoncio da quel guardo amoroso,
Che fu principio a sì lungo tormento,
Poi seguo come misero et contento,
8Di dì in dì, d’ora in hora, Amor m’à roso.
Ella si tace, et di pietà depinta,
Fiso mira pur me; parte sospira,
11Et di lagrime honeste il viso adorna:
Onde l’anima mia dal dolor vinta,
Mentre piangendo allor seco s’adira,
14Sciolta dal sonno a se stessa ritorna.
SONETTO CCCVII.
Ch’i’ segua la mia fida et cara duce,
Che mi condusse al mondo, or mi conduce,
4Per miglior via, a vita senza affanni:
Et non mi posson ritener li ’inganni
Del mondo, ch’i’ ’l conosco; et tanta luce
Dentro al mio core infin dal ciel traluce
8Ch’i’ ’ncomincio a contar il tempo e i danni.
Nè minaccie temer debbo di morte,
Che ’l Re sofferse con più grave pena,
11Per farme a seguitar constante et forte;
Et or novellamente in ogni vena
Intrò di lei che m’era data in sorte,
14Et non turbò la sua fronte serena.